Sono arrivato alla Cruz de Hierro verso mezzogiorno, ed il cielo non presentava 
  nemmeno una nuvola. Non era proprio quello che speravo, perché immaginavo una 
  condizione di luce più consona ad esprimere in fotografia sentimenti profondi, 
  quali quelli evocabili da questo luogo.
  Molti dei sassi e delle piccole pietre accatastate alla rinfusa a formare il 
  tondeggiante cumulo, riportavano scritte, nomi, frasi, minuscoli disegni che si 
  riferivano al motivo per cui erano state lasciate lì. Erano visibili a tutti, ma 
  leggerne i messaggi a me sembrava di entrare indebitamente nel privato delle 
  persone che qui erano passate. Non mi sentivo il destinatario, e non poteva esserlo 
  nessun altro perché erano pensieri, propositi o richieste inviate ad un’entità 
  “altra”, di natura divina o sovrannaturale. Oppure erano messaggi destinati a se 
  stessi. Anche un mio sasso ora appartiene a quel mucchio. Mancavano ormai 
  pochi chilometri a Santiago ed il numero delle persone in cammino aumentava a 
  vista d’occhio man mano che ci si avvicinava alla città. Ricordo di esserne 
  rimasto sorpreso: erano davvero tanti!
  Ed un’altra sorpresa l’ho avuta quando, raggiunto un famoso punto elevato dove si 
  trovano le grosse statue che rappresentano due antichi pellegrini che, con stupore 
  ed evidente soddisfazione, vedono Santiago di Compostela per la prima volta. Visto 
  che un po’ tutta la documentazione che circola fa riferimento a queste statue come 
  un punto di passaggio obbligato per chi percorre il “Camino”, immaginavo decide e 
  decine di pellegrini replicare i gesti di stupore e soddisfazione delle due statue 
  bronzee alla vista, finalmente, di Santiago. E, invece, niente!
  Nessuna anima viva all’orizzonte. Il tracciato passa ad una discreta distanza dalle 
  due statue, e solo se le vuoi proprio vedere devi raggiungerle facendo una 
  deviazione di diversi minuti. E la vista sulla città non un granché.
  Pensando, comunque, che queste opere fossero certamente rappresentative, mi sono 
  messo di piglio per fotografarle. Qualcuno, però, da qui era passato, e a 
  testimoniarlo c’erano diversi oggetti legati all’esperienza del viaggio ormai quasi 
  alla sua conclusione. Appese alle statue, o posti ai loro piedi, si vedevano 
  medagliette, indumenti usati nel cammino, quali cappellini, magliette, scarpe, ed 
  altro. E poi, bigliettini in varie lingue ad esprimere pensieri e sensazioni, piccoli 
  sassi con frasi scritte sopra a pennarello; persino qualche fotografia.
  Dopo poco, da un sentiero che conduceva alle statue è comparso un uomo sulla 
  quarantina, un poco trascurato nell’abbigliamento. Ci siamo guardati, e lui non ha 
  risposto con grande entusiasmo al mio saluto, alche ho continuato con i miei scatti, 
  considerando questi ormai gli ultimi da realizzare.
  L’uomo mi osservava infastidito e pareva attratto dai numerosi oggetti che 
  adornavano le due statue. Pensavo ad un interesse per le emozioni che questi 
  rappresentavano, ed ho considerato normale il suo atteggiamento.
  Sempre
  più
  infastidito
  dalla
  mia
  presenza,
  e
  non
  curante
  del
  mio
  lavoro 
  fotografico,
  ad
  un
  certo
  punto
  si
  è
  seduto
  quasi
  ai
  piedi
  di
  una
  delle
  due
  statue, 
  sempre più interessato ai vari oggetti lì attorno.
  Ancora un paio di scatti e me ne vado, pensavo. Con mia grande sorpresa, l’uomo 
  ha iniziato a toccare per vagliare “la mercanzia”, con l’atteggiamento di chi doveva 
  controllare per poi scegliere. Ed infatti, ignorandomi, ha iniziato a mettersi in tasca 
 
 
  ciò che reputava degno della sua attenzione, saccheggiando con tranquillità quel 
  luogo in qualche modo sacro.
  Non ho avuto la forza di reagire, un po’ per la sorpresa, un po’ perché mi è 
  sembrato un poveretto che, così facendo, alimentava la speranza di ricavare 
  qualche soldo, o di tenere per se quegli indumenti seppur logori.
  Me ne sono andato con una discreta tristezza nel cuore. 
  E poi, Santiago anche per noi.
  La città mi è parsa subito con un’impronta spiccatamente medievale, tolte 
  ovviamente le sue parti periferiche e nuove, e questo, lo confesso, mi è piaciuto 
  perché mi è sembrato il degno scenario per coronare lo sforzo (non mio) degli 
  ottocento chilometri percorsi a piedi, come facevano i fedeli di mille anni fa.
  Seguendo di buon mattino il passo dei pellegrini diretti alla Cattedrale della città, 
  anche mia moglie ed io, stavolta a piedi, siamo arrivati al cospetto della famosa 
  chiesa. Seppur con inequivocabili segni del turismo consumistico (vedi ben tre 
  lunghi trenini per il giro turistico della città parcheggiati proprio davanti al 
  sagrato), l’emozione della visione della piazza, dei suoi monumenti e, soprattutto, 
  del folto gruppo di persone che qui sostava dopo un così lungo cammino, è stata 
  grande.
  L’atmosfera era così coinvolgente che mi sono sentito partecipe a pieno titolo 
  anch’io, elettomi autonomamente pellegrino a conclusione della sua fatica, seppur 
  senza “Credenziale”.
  Gente di ogni età arrivava in piazza, presentandosi così come aveva percorso 
  l’intero cammino, con lo zaino in spalla, le scarpe da trekking consunte e sporche, 
  ed una faccia che denunciava non certo freschezza. Spesso, queste persone si 
  lasciavano andare alla commozione, che frequentemente si tramutava in pianto di 
  gioia, soddisfazione e liberazione.
  Mi piaceva avvicinarmi discretamente ai nuovi giunti, per così condividere in 
  qualche modo la loro emozione. Sono stati momenti di percezione di forti 
  sentimenti umani. Ovviamente, ne è scappata anche qualche foto: impossibile 
  resistere per chi, come me, fa questo mestiere!
  Parte di quel giorno è stata poi dedicata alla visita dell’interno della Cattedrale e 
  del resto del centro storico, cosa che ha confermato la piacevole atmosfera 
  medievale. Purtroppo non è stato possibile assistere alla cerimonia del lancio nella 
  navata principale della chiesa dedicata a San Giacomo del grosso turibolo 
  contenente incenso ardente, perché non in programma quel giorno. Ci è stato 
  spiegato che tale cerimonia non è frequente, ed avviene in occasione di determinate 
  ricorrenze, o a pagamento. L’interesse da fotografo mi ha portato anche a provare a 
  riprendere all’interno dell’ufficio preposto alla timbratura della scheda personale 
  del pellegrino ed alla consegna della “Compostela” finale, la pergamena che attesta 
  che il “Camino” è stato percorso realmente, almeno nei suoi cento chilometri 
  finali.
  Purtroppo il servizio di sorveglianza presente me lo ha impedito; ho ripiegato su 
  uno scatto all’esterno dell’edificio, sollecitando la collaborazione di una gentile 
  coppia di italiani di mezza età. A loro ho chiesto di esibire il documento che gli era 
  stato consegnato; l’hanno fatto con un po’ di pudore, quasi con la paura di rischiare
 
 
 
 
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